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Ricordi … L’Antico Monastero e la Chiesa della Badia

da Redazione
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Riceviamo e pubblichiamo un articolo, dai tratti squisitamente ed affettuosamente familiari. Una testimonianza tutta personale della Prof.ssa Sara Piazzese, affezionatissima parrocchiana e legatissima alla realtà “nunziatara”, membro del nostro coro parrocchiale e dell’Azione Cattolica, appassionata di storia e tradizioni locali. Nell’anno dedicato a San Giuseppe, sposo della Beata Vergine Maria, ci racconta la sua infanzia devotamente vissuta presso l’antica “Chiesa ra Badia”, dedicata proprio a San Giuseppe. Questo si aggiunge al già precedente articolo con taglio storico pubblicato nel Marzo scorso. Grazie a alla Prof.ssa Piazzese e al suo caro ricordo.

Quando il 13 marzo ultimo scorso, Don Manlio Savarino, attuale parroco della SS. Annunziata, ha comunicato alla comunità, con un messaggio recante la foto della statua di San Giuseppe, che quella sera sarebbe stato impegnato alla chiesa di San Giuseppe per la Santa Messa serale, pensata come preghiera di pellegrinaggio in quei giorni di festa per il Santo, custode della casa di Nazareth, ho avuto un tuffo al cuore e un brivido ho sentito scorrermi in tutte le membra. Quella statua di San Giuseppe che conduce per mano Gesù, mi ha riportato lontano nei tempi, quando, ero solita vedere tale statua, nell’antica “Chiesa ra Badia”, non più esistente.

Ed eccomi, allora a voi, con notizie storiche e ricordi indelebili della mia infanzia.

L’antico Monastero delle Benedettine e la Chiesa di San Giuseppe furono costruiti prima dell’anno 1661. Sempre in quell’anno, come testimonia Leonardo Arminio in “Spaccaforno nel secolo XIX volume II Ispica 1985, e dalle diverse fonti attinte dal Blog personale del concittadino Prof. Melchiorre Trigilia (https://sites.google.com/site/trigiliacultura/), il vescovo di Siracusa dell’epoca, con provvedimento del 21/05/1661, concesse “patente”, cioè dispose l’annessione della chiesa attigua “per potersi udire le confessioni dei fedeli, limitatamente alla vigilia e nella festa di San Giuseppe e per la festa di Santa Margherita.

Presso l’archivio storico del comune di Spaccaforno si conserva, ancora, l’atto del 1/08/1661 con il quale il Consiglio dell’epoca deliberava il contributo da dare al Monastero e quindi alle Suore, per poter comodamente vivere; un contributo di “duodici” onze per ogni anno, a ragione di un’onza al mese. L’assegnazione del beneficio a favore del Monastero fu formalizzata per atto dal “notaro” Paolino Baldassare in Spaccaforno il 24/10/1661. I pagamenti rimasero immutati nel corso dei secoli, ma erano eseguiti a singhiozzo. Nel menzionando atto notarile del 1661 è specificato, inoltre, che il Monastero era adibito a monache di clausura, che allora erano otto.

Certamente le dodici onze annuali, corrisposte dal Comune, non erano sufficienti ai bisogni delle religiose, e, così, supplivano le rette delle educande e i contributi delle famiglie delle suore che erano tra le più facoltose di Spaccaforno, dal 1661 in poi. Ciò era necessario per la stessa natura del Monastero, ove, per entrare, occorreva essere “economicamente dotate”. Inoltre, sempre nel 1661, per sovrana clemenza vicereale, il Monastero otteneva l’assistenza medica gratuita per le religiose. Non poteva entrare, però, qualunque medico, ma solo chi era stato designato, e accompagnato sempre dal cappellano e da due suore anziane che accudivano l’ammalata. Per comunicare direttamente dalla chiesa al convento esisteva un cancelletto in legno, sostituito, poi, da uno in ferro per ordine del Vescovo Giovanni Antonio Capobianco, il 21/06/1669. La chiave veniva tenuta dalla badessa che apriva solo durante la Comunione, pena la sospensione dell’ufficio. Le suore erano soggette a dure regole. Non potevano far visita alle famiglie per la morte di un parente, non potevano dormire in compagnia, e a chi non scendeva in refettorio, non si doveva dare nulla ad eccezione del pane a meno che non erano ammalate. Alle religiose, poi, era proibito fare dolci di qualunque sorta. Era proibito qualsiasi tipo di allevamento, ad eccezione delle galline perché il tenere gli animali, specie i maiali, era “cosa troppo impropria alle suore vergini consacrate a Dio”.

L’antico monastero delle Benedettine e la Chiesa di San Giuseppe e la chiesa furono completamente distrutte dal terremoto del 1693 e poco dopo ricostruiti e riaperti il 18 marzo del 1714. Il monastero delle benedettine, con annessa la chiesa di San Giuseppe, furono ricostruiti fra la via Cadorna a sinistra guardando il monastero, via Lunga-Piazza (l’attuale via Vittorio Emanuele) parte centrale, via Agatocle, una viuzza stretta sul retro e via Capuana a destra, adiacente alla chiesa di San Giuseppe.

Alcuni hanno voluto attribuire la costruzione dell’edificio alla munificenza della famiglia Statella e del figlio, il venerabile Padre Salvatore della Santissima Trinità che fu, tra l’altro, anche confessore e padre spirituale delle monache di clausura. Ma è certo che la famiglia Statella è estranea alla costruzione del monastero che si deve, invece, al popolo e all’Università di Spaccaforno. Non è da escludere però del tutto che la nobile famiglia Statella abbia, come del resto era suo abituale costume, aiutato quella comunità religiosa. Il Monastero disponeva di due corridoi e 13 stanze, due botteghe al pianterreno e due accessori. Vennero fatte, inoltre, le grate alle finestre del dormitorio, che davano sulla strada pubblica.

Nel 1750 il vescovo Francesco Testa, dispose che si comprasse la casa collaterale per ampliare il giardino e diede ordine, inoltre, di costruire la fossa sepolcrale davanti la clausura.

Come è stato detto, le suore appartenevano a famiglie facoltose; nel 1825, infatti, si leggono i nomi dei: Statella, Bruno, Maltese, Fronte, Curto, Quartarone, Zuccaro, Vaccaro, Paternò, Franzò, Lorefice, Lentini, Sessa e Gradanti. Con il passar degli anni, però, si nota una diminuzione delle vocazioni e, dal 1825 al 1862, le suore erano la metà e vecchie.

C’è da dire che un tempo ogni Monastero aveva la sua chiesetta per cui la chiesa di San Giuseppe era “ra Badìa”, cioè faceva parte di una Abazia. Noi invece anticamente ed erroneamente dicevamo “iemu a viriri a Missa a Badìa”, in realtà non era questo il nome, ma la chiesa di San Giuseppe veniva chiamata così perché apparteneva a1lla comunità monastica di clausura delle benedettine.

Verso la metà del 1800, e, precisamente con la proclamazione del Regno d’Italia del 1861, ci furono dei provvedimenti soppressori di istituzioni ecclesiastiche compresi molti conventi e chiese che furono avocati allo Stato. Questo, precisamente, avvenne con regio decreto il 7 luglio 1866. Il fabbricato del monastero fu soppresso il 24/10/1866 e la proprietà passo all’erario dello Stato. Il 15 novembre del 1866 le poche monache rimaste, compresa la badessa, dovettero ubbidire alla legge dello Stato e raggiunsero le rispettive famiglie, munite di certificato di pensione. L’antico monastero delle benedettine di San Giuseppe, poi, acquistato dal Comune con atto del 4 giugno 1872 fu adibito a servizio di pubblica utilità. Con delibera del consiglio di Spaccaforno l’11/12/1878 venne destinato a ricovero e indi ad ospedale Civico. Più tardi ancora il piano superiore del monastero fu adibito a Pretura Mandamentale con annesso il Carcere, mentre il piano inferiore fu destinato a scuola elementare. Divenne anche la sede di istruzione della banda musicale città di Ispica e della biblioteca comunale.

Io ho frequentato in quell’edificio l’asilo “infantile”, nella prima stanza sita al pianterreno, tra la via Cadorna e via Vittorio Emanuele, mentre, le cinque classi della scuola elementare, nell’ultima stanza adiacente alla chiesa, tuttora visibile e recante la porta originaria antica.

Si entrava dalla via Vittorio Emanuele, dall’ingresso principale, ancora esistente (come da foto), e si accedeva nell’antico e ampio chiostro del monastero, ove tutt’intorno, in alto al primo piano erano tante finestre con le grate di ferro, dove, spesso, si appoggiavano i carcerati per “prendere aria”. Noi bambini, venivamo accolti da una vecchia bidella “a Za Vanna Sampieri”, che ci immetteva subito nel corridoio di destra verso le aule, impedendoci di attardarci, e, quindi, di alzare lo sguardo in direzione dei carcerati, ma noi, spesso, disobbedivamo e riuscivamo a sbirciarli dietro le sbarre. I libri della biblioteca del monastero, mi raccontava mio padre, vennero un giorno trasferiti con un camion al convento delle suore domenicane e sistemati, oltre che in un corridoio del Convento, anche nelle varie aule del Ginnasio Liceo che, anticamente, aveva sede presso il Convento. Io, proprio lì, ho frequentato la Scuola Media, il Ginnasio e il Liceo. Ricordo anche, chiaramente, che l’antica chiesa “Ra Badia” non era costruita a pianterreno, ma era sopraelevata e per accedervi bisognava salire tanti gradini a semicerchio. La Chiesa di San Giuseppe rimase aperta al culto, non come chiesa parrocchiale, ma come rettoria. L’8 settembre del 1915 fu nominato rettore il canonico Giuseppe Bonomo (1881 – 1965) grande devoto di San Giuseppe che abitava in via 20 settembre, poco prima della allora “Piazza Regina Margherita”, nello stesso lato “ra putia ri Don Casparinu” e vicino all’altro canonico Monaca, che era di supporto al prete di Santa Maria, Moltisanti. Era amico di mio padre Piazzese Antonino, classe 1874 – 1967; ricordo infatti che, quando andavo in chiesa, “alla Badia” mi diceva: “tu si a figghia ri Ninu, salutimi u papà”. Il 15 agosto del 1955 il canonico Bonomo scrisse un’accorata lettera al vescovo Calabretta per far elevare a parrocchia anche la chiesa di San Giuseppe, come lo era stato per la chiesa del Carmine nel ’52: “……ho la convinzione che San Giuseppe mi abbia scelto per Suo strumento e con la convinzione di fargli cosa gradita… invio fiducioso la presente convinto che è ardua impresa spegnere una lampada dell’aureola del Santo.”

Questa richiesta, dopo, fu inviata anche al Santo Padre: ”….lo storico monastero delle benedettine e la chiesa dedicata a San Giuseppe hanno irradiato luce, fede, devozione profonda… se la chiesa sarà chiusa si cancellerà per sempre una storia gloriosa e un passato parecchie volte centenario”. Non si seppe nulla della risposta del Papa, ma nel 1960 la chiesa, addirittura, fu venduta dalla Curia alla famiglia Sarta che la demolì, per edificarvi negozio e abitazione. Non voglio descrivere quei giorni dolorosi della demolizione e i miei pianti per alcuni giorni. La Statua di San Giuseppe, fortunatamente salvata dalla demolizione della vecchia chiesa, trovò dimora, temporaneamente, nella chiesa della SS. Annunziata e collocata in una nicchia dove è ora posto San Vito che prima era in sacrestia, fino a quando non venne costruita l’attuale chiesa a lui dedicata.

Il canonico Bonomo venne trasferito alla SS. Annunziata, come collaboratore del parroco Don Vittorio Curto. Nell’aprile del 1967 ebbe inizio la costruzione della nuova chiesa di San Giuseppe; i lavori vennero conclusi nell’ottobre del 1971.

I ricordi della nostra infanzia sono indelebili.

 Prof.ssa Sara Piazzese

(nella foto: porta originaria della “Badia” in Corso Vittorio Emanuele ad Ispica)

16 commenti

Massimo 1 Maggio 2021 - 12:09

Esaustiva saruzza. Sei la nostra memoria storica . Ti voglio bene nunziatara doc 💙

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rosariapiazzese36@ gmail .it 3 Maggio 2021 - 23:13

Grazie Massimo per questa tua gratificazione sei sempre affettuoso e gentile.Chiamarmi ” .Nunziatara doc mi riempie di gioia Anche io ti voglio bene

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Vincenzo 1 Maggio 2021 - 15:05

Interessantissimo articolo per un’importante memoria storica da parte di chi ama questi posti

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rosariapiazzese36@ gmail .it 3 Maggio 2021 - 23:21

Grazie caro per questo tue delicate espressioni.nei miei confronti Un forte abbraccio

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Giuseppe Pitrolo 4 Maggio 2021 - 19:26

Complimenti alla Professoressa Piazzese!
Ci ha regalato un saggio ben documentato e scritto col cuore!
Grazie!

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Pino Genovese 2 Maggio 2021 - 16:00

Interessante. Aggiungo una notizia di cronaca. Il giorno della festivita’ di S. Giuseppe, in fondo al palco della cosiddetta “cena” a tre poverelli (u zu Currau, una donna e um bambino, la Sacra Famiglia) veniva offerto un pranzetto

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rosariapiazzese36@ gmail .it 3 Maggio 2021 - 23:31

Una sola parola che ti ripaga della fatica fatta ( si,pe rché a 85 è stata proprio dura!!!). Toccante la notizia di cronaca Grazie con il cuore

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rosariapiazzese36@gmail.it 4 Maggio 2021 - 08:24

Articolo di cronaca gratificante ed esaustivo che premia la immensa fatica della ” Nunziatara” Prof.ssa Sara Piazzese.
Toccante il ricordo della antichissima scuola elementare da me frequentata.

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Teresa Giunta 4 Maggio 2021 - 20:22

Complimenti carissima Sara hai fatto un ricordo storico molto interessante che riguarda anche la mia infanzia!Anch’io frequentavo quella chiesa la scuola elementare nel convento e poi la scuola media al Carmine!Mi ha fatto tanto piacere leggere il tuo prezioso articolo e l’ho anche spedito ai miei figli parenti ed amici!Brava!Un forte abbraccio!💖❤

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rosariapiazzese36@ gmail .it 7 Maggio 2021 - 10:50

Grazie carissimo Giacomo per il tuo commento al mio articolo : esaustivo e toccante ; felice per aver ridestato in Te dolci ricordi .
Grata per aver ritenuto una fatica immane il lavoro di una ” Nunziatara doc”

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rosariapiazzese36@ gmail .it 4 Maggio 2021 - 22:13

Grazie a Te,Giuseppe ,il tuo commento mi rende tanto felice e mi gratifica .Affettuosamente

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rosariapiazzese36@ gmail .it 4 Maggio 2021 - 22:28

Commento non firmato ,ma penso chi tu possa essere Grazie per averlo ritenuto esaustivo ed aver apprezzato la immensa fatica della ” Nunziatara”…..

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rosariapiazzese36@ gmail .it 4 Maggio 2021 - 22:45

Grazie Teresa per il tuo affettuoso commento e per aver risvegliato in te teneri ricordi della nostra infanzia Un caloroso abbraccio

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Giacomo Betta Via F.lli Cervi 7 Lentini 6 Maggio 2021 - 18:24

Betta Giacomo Via F.lli Cervi 7 – Lentini
Complimenti per il gratificante ed esaustivo ricordo storico
che premia la certosina ed immane fatica della Prof.ssa Sara Piazzese,
“Nunziatara” doc.
Un ricordo “toccante” che riguarda anche la mia infanzia

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MARIACHIARA 21 Maggio 2021 - 15:44

Complimenti professoressa! I suoi racconti sono sempre un dono prezioso per noi , grazie 💙

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Donato Bruno 25 Maggio 2021 - 19:17

Bellissima la narrazione. Ricerca storica ineccepibile.

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