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Padre Deogratias: un ponte tra Ispica e Butembo

da Giuseppina Franzò
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Sorriso rassicurante e contagioso, occhi luminosi ed espressivi. Padre Deogratias Paluku Mathe, 50 anni il 2 marzo scorso e 19 anni di sacerdozio il prossimo 19 marzo, rappresenta per Ispica e per gli ispicesi il volto concreto del gemellaggio fra le diocesi di Noto e di Butembo Beni. Ascoltandolo, mi rendo subito conto che egli incarna gli approdi e gli orizzonti di questo sodalizio intercontinentale. Alla domanda chi è per lui Dio, mi risponde con gli occhi commossi: “E’ per me Padre, è l’Amore che salva e che devo vivere”.

Giunto nella nostra diocesi il 13 settembre del 2016, padre Deo è stato ordinato sacerdote a Butembo il 19 marzo del 2002, è stato tre anni in missione nei territori martoriati di Mutwanga rischiando ogni giorno la vita, dopo di che è stato sei anni economo del seminario maggiore di teologia di Butembo. Ha svolto ancora per sei anni la sua missione di sacerdote nella parrocchia di Kasindi, percorrendo quotidianamente chilometri e chilometri senza macchina e su strade sterrate o inesistenti, per prendersi cura delle 56 piccole comunità e chiese orbitanti nella parrocchia a lui affidata. Una vita sempre in cammino la sua, già dagli anni dell’infanzia e dell’adolescenza durante i quali macinava ogni giorno decine e decine di chilometri a piedi pur di raggiungere la scuola e poi il seminario. “E adesso – confessa sorridendo – per andare dal Carmine all’Annunziata prendo la macchina…”.

A 10 anni di età la scelta della vita religiosa: “In una delle due ricorrenze annue in cui un giovane prete è venuto a visitare la mia scuola, lui mi ha toccato la mano. E così mi sono detto chissà se pure io posso diventare prete”. “Sono grato a tutti – continua- per il cammino di crescita nella fede nelle terre in cui il Cristianesimo è nato 2000 anni fa.
“A Butembo – ci dice -i missionari cristiani sono giunti solo nel 1906: la nostra storia di Cristianesimo è recente. Io sono stato mandato in Europa per attingere alla culla della fede cristiana, per attingere ad una storia di fede che dura da 2000 anni. Sarei voluto andare in Francia perché conosco bene la lingua. Ho provato smarrimento quando il vescovo mi ha destinato all’Italia. Mi sembrava impossibile, superati i 40 anni, imparare una nuova lingua”.

Ed invece Padre Deo ha subito abbracciato il senso della sua missione in Italia: “Subito mi sono riconciliato con l’uomo bianco, sono stato accolto a Ispica come un amico, un figlio, un fratello. Io avevo un’idea sbagliata dell’uomo bianco da sempre presentato a noi come un colonizzatore. All’Annunziata ormai io sono un po’nonno. Grazie a Padre Michele, a Padre Pace, a Padre Manlio e a Padre Gianni, grazie di cuore a quanti sono diventati la mia famiglia”.

Con profonda convinzione mi dice ancora: “Venendo da violenze, guerre e povertà ho scoperto in Sicilia che vivere nell’amore e nella pace è possibile. All’inizio, non riuscivo a comprendere la logica dello sparo delle bombe per le ricorrenze religiose. Da noi le bombe non sono affatto un buon segno. E appena sentivo le bombe stavo male. Tutto è cambiato dentro di me. Qui posso vivere e girare senza disturbo, senza ansia, senza il timore di essere massacrato. La mia speranza è che con il nostro impegno anche l’Africa possa vivere, prima o poi, la pace come dono del Signore. Nella diocesi di Butembo e in ogni parte del paese, dopo le sei di pomeriggio, non puoi fare un tragitto tipo Ispica- Rosolini sperando di rimanere in vita, salvo. Questa tranquillità di vita – aggiunge – mi ha permesso di pregare tanto in questi anni. Il Carmine è un posto ideale per il raccoglimento e la preghiera”. E anche per lo studio. Padre Deo, infatti, sta conseguendo una laurea in teologica pastorale a Palermo.

“Ciò che mi appassiona di più è la sfida di fondere la pastorale con l’antropologia, la sociologia, la psicologia. Questa è anche la sfida voluta dal Concilio Vaticano II e questa sfida è più impegnativa in Africa in cui siamo fermi solo ancora a livello della dottrina. Abbiamo solo la parola, null’altro. Nemmeno il veicolo dell’arte che avete qui”.

Profondo nel confronto tra i due mondi di fede: “Voi riuscite a comunicare la fede ai piccolissimi attraverso il catechismo, voi avete catechesi per giovani, per coppie e tante pagine e possibilità di spiritualità che sono una ricchezza enorme. Avete un modo diverso di celebrare la fede come esperienza che si vive dentro una messa, un rito ordinato e ben organizzato. Questa è la terra dell’organizzazione, della previsione, della pianificazione, della Logica che funziona benissimo, della riflessione”. In Africa, invece, è quasi tutto spontaneità, imprevedibilità, rispetto alle possibilità che ci sono. Qui prima fate un progetto preciso, poi raccogliete i soldi e poi cominciate a costruire una casa e tutto è pianificato. Lì si comincia a costruire senza progetto, senza pianificazione e senza soldi. Lì la vita è naturale, i panni e spesso anche le persone si lavano nel fiume , non c’è frigo, si va a raccogliere la legna dove capita”.

Raccontando con il volto pieno di luce la sua Africa Padre Deo ha un rammarico: “Mi sarebbe piaciuto organizzare viaggi in Africa: portare 100 ragazzi di questa città e di questa diocesi ogni anno in Africa. L’Africa ti fa rivedere la visione della vita e la visione dell’Europa così come la mia visione della vita e dell’Europa è cambiata in questi cinque anni. Purtroppo il contesto attuale dei massacri in diocesi di Butembo-Beni non ce l’ha permesso”.

La nostra discussione si avvia al termine mentre riceve al telefono inviti a pranzo e a cena. Gli chiedo che cosa significa per lui ricordare il 19 marzo la sua ordinazione sacerdotale: “Ho capito che la grande sfida ovunque è mettersi a servizio dell’uomo, qualunque egli sia, e la prima missione è relazionarsi bene e camminare insieme con la gente. Il vangelo va proclamato nella parola e nel vissuto”.

Ringrazia ancora Ispica e gli Ispicesi perché ha trovato un clima di famiglia. A loro un orizzonte da suggerire: “Bisogna andare oltre la famiglia, gli amici e la parrocchia per andare verso l’universalità e donare tutte le ricchezze culturali, religiose, devozionali a tutta la comunità ispicese e oltre i limiti di Ispica. Sarebbe, inoltre, interessante integrare e accogliere – perché no – anche il conflitto nella crescita comunitaria. Dobbiamo essere sempre tutti grati al Signore per essere, vivere e camminare insieme nelle comunità ricordando ogni momento che, in Cristo, il fare deve radicarsi all’essere”.

La prospettiva nella sua riflessione si allarga, quindi, a tutta la Chiesa: “La sfida ovunque è quella di passare da una catechesi globalizzante a una catechesi personalizzata: bisogna educare sempre più la comunità ad assumere la realtà di ogni persona per aiutarla a vivere i vari momenti comunitari, in primis la messa, come esperienza che fa crescere e che fa festa. Se davanti ad un concerto, uno spettacolo teatrale o un film, tante persone e soprattutto tanti giovani riescono ad attingere un messaggio per la loro vita, allora anche i nostri riti e le varie cerimonie devono edificare la nostra persona e rivelarci ciò che siamo in Dio. Per ciò, abbiamo bisogno di celebrazioni partecipate vivamente, ognuno secondo la sua responsabilità”. In pratica bisognerebbe portare un po’ dell’anima più autentica dell’Africa nelle nostre chiese. Buona idea, grazie Padre Deo!

2 commenti

Salvatore Donato Bruno 18 Marzo 2021 - 14:23

Bellissimo articolo. Vero e concreto come p. Deo.

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rosariapiazzese36@ gmail .it 16 Aprile 2021 - 23:47

Giuseppina carissima,sei sempre eccezionale ,bellissimo articolo veramente

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