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“U Quarant’uri”. Tradizioni quaresimali nunziatare

da Redazione
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Carissimi, oltre ai “Trepini”, un’altra funzione indelebile e, quindi, radicata nella mia mente, che anticamente avveniva alla SS. Annunziata e che ho il piacere di raccontarvi brevemente, era quella “Ro Quarant’uri”. Sono questi ricordi dal sapore antico che si riferiscono a 80/75 anni fa, quando molti parrocchiani, erano ancora, nel disegno di Dio.

“U Quarant’uri” era una funzione che ti straziava il cuore e che si teneva la sera in chiesa, il martedì Grasso, prima del mercoledì delle “Ceneri, e, precisamente, il martedì di carnevale.

L’antico Cristo alla Croce, quella sera, veniva spostato dalla sua nicchia e posto, sempre in croce, davanti all’altare maggiore, con ai lati le statue di San Giovanni e dell’Addolorata. Molto emozionante era il momento dello “schiodamento”, il momento in cui venivano tolti i chiodi delle braccia e dei piedi.

Due sacerdoti, il Canonico Bonomo e Fra’ Antonio (un eremita francescano che non celebrava Messa) appoggiavano due scale ai lati della croce e procedevano, uno alla volta, a togliere i chiodi prima del braccio destro e poi del braccio sinistro, e indi dei piedi. I chiodi, tolti, venivano baciati e posti su un vassoio d’argento. L’atmosfera, poi, che si creava durante questa cerimonia, ti emozionava tantissimo e ti faceva vibrare il cuore e le membra. Nel momento in cui si toglieva il chiodo, veniva sparata una bomba ed un suono lugubre di tromba ti straziava. Ricordo che uno dei ragazzi che suonava la tromba era il mio compare, Nino Cocciro. Ed a volte, proprio per la veridicità della funzione, mi spuntava qualche lacrimuccia. Dicevo, abbracciata al mio vecchio papà, “mischinu Gesù”. Schiodato, il Cristo veniva posto su un “cataletto” e portato, a spalla, sotto il pulpito, che si trova, appoggiato a un pilastro, al centro della Basilica.

Qui un prete o un monaco, non locale, ma forestiero (era prassi, infatti, farlo arrivare da ogni parte d’Italia), faceva un’interessante e commovente predica. Dopodiché, il Cristo, sempre a spalla, veniva portato in Cappella e deposto a terra. Indi, veniva coperto da un velo nero e la gente, in fila, ordinata, si apprestava a baciarlo. Ricordo, da piccolina, che non era per nulla piacevole assistere a quella cerimonia, perché, a me, quel Cristo incuteva un certo terrore.

Infatti, la prima volta, tenendo la mano del mio vecchio papà, andandolo a baciare, mi sono terrorizzata.

Nel mentre lo baciavo, il Cristo, con quegli occhi lucidi di vetro, e sotto quel velo nero, mi fa “l’occhiolino”, cioè, “mi scacciau l’uocciu”. Io ho gridato e mio padre, prontamente, mi prese in braccio. Una paura che non riesco a descrivere, tanto che, per un lungo periodo, ho dormito nel lettone con i miei genitori. E, questo, non successe solo la sera del “Quarant’uri”, ma succedeva tutte le volte che andavo in chiesa e mi avvicinavo a guardare il Crocifisso, dentro la sua nicchia, naturalmente senza il velo nero. Puntualmente, però, il Cristo mi faceva l’occhiolino, cioè “mi scacciava l’uocciu”.

Questa funzione si protrasse per tanti anni. Quando, però, alla SS. Annunziata fu parroco Don Vittorio Curto, questi, dopo alcuni anni, l’abolì, perché pensò che era proprio “una pupiata”, così, si disse, fare quella importantissima funzione, proprio, la sera del martedì di carnevale e proprio quando la gente, in piazza, Regina Margherita, ballava e scherzava in maschera.

Così, questa emozionante funzione, si fece all’aperto, l’ultimo venerdì di Quaresima, al posto della processione della Santa Cascia. Vorrei ricordare, brevemente, che tale processione avveniva di sera. La “Santa Cascia”, però, non veniva fatta uscire, per la processione, dalla porta principale della Basilica, ma dalla porticina laterale di via Nicotera. Uscita e portata a spalla, percorreva la via 24 Maggio, la via di casa mia, dove, ai balconi, mia madre aveva già steso delle preziose e antiche coperte (era allora prassi), mentre io, pronta con un vassoio d’argento, pieno di petali di rosa, li buttavo sulla “Santa Cascia”, non appena arrivava sotto casa mia. La “Santa Cascia” percorreva la via Scivoletto, via Bellini, via Vittorio Emanuele, fino a rientrare, a notte fonda, in chiesa e, questa volta, dalla porta principale. Indi, c’era “u juocu u fuoco”, i fuochi d’artificio. Comunque, ritornando alla funzione all’aperto, devo chiarire che, laprima funzione fu realizzata nel 1994.

I primi organizzatori furono: Nino Gianì e Attilio Fava, fino al 2001. Ricordo che, all’inizio, si svolgeva per alcune vie del paese, una Via Crucis che veniva rappresentata stazione per stazione, terminando all’inizio del corso Garibaldi, dove era stato costruito il palco della crocifissione e dove era già presente la statua del Cristoper la successiva deposizione. Nessun paragone, naturalmente, con il “Quarant’uri” che avveniva in chiesa, ma, sempre, una funzione molto toccante.

In seguito, e, precisamente nel 2001 si passò dalla statua della crocifissione alla Crocifissione vivente. Il clou della Via Crucis era quando la processione, proveniente dal Corso Umberto, arrivava all’inizio del corso Garibaldi, dove, avvenivano dei momenti che ti straziavano il cuore, per la veridicità delle rappresentazioni.

Il percorso della Via Crucis era illuminato da torce ad olio e avveniva con musiche toccanti, rulli di tamburi e scenografie emozionanti.

Il primo momento avveniva sulle scale della Chiesa Madre, quando Gesù veniva condotto alla presenza di Ponzio Pilato; il secondo momento era quello più emozionante che ti sentivi stringere il cuore: era quando Gesù, fatto salire su un palco, che era stato sistemato davanti al vecchio Municipio, e legato a una colonna, veniva flagellato in modo molto cruento; indi, si passava all’incontro con il Cireneo che aiutava Gesù a portare quella pesante croce, a quello della Veronica e, indi, al momento della crocifissione.

Era stato costruito un palco e sopra vi era stata sistemata una croce, dove veniva inchiodato (per modo di dire), la persona che aveva impersonato il Cristo. Anche questa funzione era toccante perché si svolgeva a mo’ del “Quarant’uri”.

Anch’io ho partecipato a quella Via Crucis vivente, facendo parte del popolo, e, naturalmente, vestita con abiti dell’epoca.

Ora la Via Crucis vivente, a causa della pandemia che sta affliggendo il mondo, purtroppo, non viene rappresentata da qualche anno. Speriamo che il tutto finisca al più presto. Devo, anche aggiungere, che, da qualche anno, in chiesa si celebra, la prima domenica di marzo, l’Ora del Calvario”. Così è stato ripreso l’antico schiodamento” e, quindi, abbiamo una doppia funzione della crocifissione, una la prima domenica di marzo, in chiesa e l’altra all’aperto, l’ultimo venerdì di Quaresima.

Vorrei completare, però, con una notizia che mi sembra, piuttosto importante. Il Crocifisso, dopo la funzione del “Quarant’uri” che, come ho detto, si svolgeva il martedì Grasso, martedì di carnevale, veniva ricollocato nella sua nicchia. Poiché, però, era ormai malandato e aveva le braccia rotte, compresi le gambe e i piedi, in croce poteva, sì, stare, ma, quando si doveva fare la funzione “ro Quarant’uri”, cioè nel levare i tre chiodi, veniva molto difficoltoso, per cui si decise un giorno di comprarne uno nuovo. Così, notizia questa fornitami dal mio caro figlioccio Salvatore Cocciro, nunziataro doc, “comu a parrina”, il parroco Curto, negli anni ’60, decise di comprare un’altra statua del Cristo a Roma, in un negozio vicino Piazza San Pietro, il cui proprietario aveva due negozi, uno in via del Mascherino e l’altro in via Borgo Vittorio. Infatti il Parroco Curto, diceva sempre, scherzando, che il Cristo proveniva da casa sua, visto che la via portava il suo nome.

Il Crocifisso vecchio venne lasciato sempre sulla croce, mentre il nuovo, dopo la funzione “ro Quarant’uri”, venne conservato appoggiato all’impiedi e con le braccia abbassate, in un armadio che si trova nel piccolo ingresso che immette all’altare maggiore, che ora viene utilizzato per conservare dei paramenti.

Un giorno, però, essendo troppo malandato, si decise di togliere l’antico Crocifisso dalla nicchia. Così, il parroco Curto pensò di farlo sistemare nel “majazzè”, l’ex falegnameria, dove, anticamente, svolgeva, pure, il suo lavoro il vecchio “nunziataru” Don Turiddu Cocciro, il nonno del mio figlioccio Salvatore Cocciro e, precisamente, nelle logge, che, allora non erano restaurate. Questo “majazzè” veniva, anche utilizzato, per riporvi le pedane che venivano usate il venerdì Santo, per far salire e scendere, dai gradini del sagrato della SS Annunziata, la macchina dove veniva collocato “u Patri a Cruci” per la processione del venerdì Santo. Il Crocifisso venne avvolto in un telo di plastica, tipo quello usato nelle serre e adagiato, con le braccia abbassate. Mi faceva un po’ di impressione quando, ogni tanto, andavo a vederlo. Passò un po’ di tempo e il Crocifisso, un giorno, sparì. Fu chiesto allora al parroco Curto, ma questi “cadde dalle nuvole”. Naturalmente, si indagò un po’, per sapere il nome del responsabile di questa sparizione, ma, inutilmente. Infine, ricordo benissimo, che venne fuori un nome, mah!!!!!!!!!!! “Vox populi, vox dei”.

di Sara Piazzese

(In foto: L’ora del Calvario – Anno 2020)

10 commenti

Giovanni Fronte 4 Marzo 2022 - 12:11

Grazie per questo bel ricordo, carissima Sara e per averci trasmesso come alcune nostre usanze si sono perse nel tempo e, nel nostro piccolo e adeguandolo ai nostri tempi, cerchiamo di recuperarli…ricordo che anche mia mamma raccontava sempre sia del “quarant’uri” sia di questo crocifisso antico che, diceva, “facia scantari”

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rosariapiazfz36m 4 Marzo 2022 - 13:06

Grazie, Giovanni per aver apprezzato questa ulteriore fatica Felice di aver suscitato in te dolci ricordi

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Massimo Innorcia 4 Marzo 2022 - 13:15

Hai fatto riaffiorare ricordi che i miei genitori erano soliti raccontarmi. A sira i carnavali s’ja a Nunziata puoi o cianu mi dicevano sempre. E raccontavano pure di questo crocifisso bello ma che faceva impressione per questi occhi aperti, quasi sembrasse vero. Grazie saruzza. Ti ho sempre definito la nunziatara doc, ma sei anche la nostra speciale memoria storica. La nostra gloriosa parrocchia vanta una storia ricca ed importante, ed è bello metterlo a conoscenza ai tanti “giovani e piccoli nunziatari in erba”.

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Natalino Zocco 4 Marzo 2022 - 16:05

Bellissimo racconto di fede e storia Nunziatara! Oggi purtroppo si fa finta, spesso, di non saperla. Non c’è futuro senza passato!

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Patrizia goracci 6 Marzo 2022 - 04:44

Una cara amica Sara che anche questa volta è riuscita a coinvolgere il lettore con anima e cuore…. Una vera memoria storica, come è stata definita, che ogni paese e città dovrebbe avere.

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Stefania Bracchitta 5 Marzo 2022 - 21:52

Che bel racconto, per me una storia del tutto sconosciuta. Come si dice nella vita non si finisce mai d’imparare.

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rosariapiazfz36m 6 Marzo 2022 - 14:03

Grazie, caro Massimo per il tuo sempre eccezionale commento.Felice di aver suscitato in te dolci emozioni

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rosariapiazfz36m 8 Marzo 2022 - 10:55

Grazie Natalino per questo tuo inaspettato commento.Ricordo chi sei, perché sei venuto a festeggiare il mio 83 esimo compleanno.Grazie per aver definito il mio articolo un racconto di storia e fede Nunziatara.Vero,caro,senza passato non c’è futuro

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rosariapiazfz36m 8 Marzo 2022 - 11:00

Grazie Patrizia e Stefania per il vostro delicato ed affettuoso commento.Mi avete anche commosso,carissime

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Giacomo Betta Via F.lli Cervi 7 Lentini 16 Maggio 2022 - 22:59

Carissima mia ex Prof.ssa Sara Piazzese. Commento il Tuo racconto prostrandomi al cospetto del TUO fine intelletto.
Nunziatara DOC e VERACE. Fatti rispolverati con somma devozione. Il popolo ispicese loda il tuo fine vergare.
Affettuosamente, ex alunno.

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