Home Strada facendo… Il piccolo Minot

Il piccolo Minot

da Maria Sacchetta
771 visualizzazioni

Minot, era questo il diminutivo del nostro Domenico Giuseppe Savio.

È un sabato di aprile del 1842, per la precisione il 2, quando il nostro Domenico venne alla luce a Chieri, una piccola borgata della campagna piemontese. La notizia del suo arrivo riporta gioia e serenità nel cuore dei genitori che due anni prima avevano perso un figlio appena adolescente, e ora venivano benedetti dalla nascita del piccolo pargoletto, che quel giorno santo, benediva nuovamente la loro esistenza, anche se ancora non si rendevano conto di quanto quella nascita sarebbe stata santa.

La gioia per l’arrivo del nascituro si espande per tutto il paesello e i compaesani vengono a porgere le loro felicitazioni alla coppia arricchendo la gioia che già regnava in quella casa, proprio perché questi momenti sono più belli se condivisi con gli altri.

Papà Carlo fa il fabbro e mamma Brigida fa la sarta. La situazione economica della coppia non è floridissima quindi, per cercare di avere una vita più dignitosa e più tranquilla si trasferiscono a Murialdo una cittadina vicino a Castelnuovo d’asti. Nonostante il lavoro pesante e le condizioni economiche disagiate, la famiglia conduce un esistenza tranquilla e felice. Il papà la sera rientra tardi e molto stanco ma questo non gli impedisce di giocare un attimo con il figlio, che lo accoglie solare correndogli incontro, e dopo cena, di recitare il rosario tutti insieme. Domenico passa le sue giornata con la madre che cuce, le si avvicina quando recita le preghiere tanto che a 4 anni recita in autonomia le preghiere del mattino, della sera e dice di parlare con Gesù.

La sua vita da subito è stata improntata alla religiosità più vera e completa e in questo l’esempio dei genitori è stato istruttivo, infatti è lui il primo a richiamarli se non pregano prima di pranzare, perché “voi mi avete abituato così”. Una volta i genitori invitano un amico a pranzo il quale non recita le preghiere per ringraziare, di rimando, il piccolo Minot, si rifiuta di mettersi a tavola con loro.

Da buon cristiano la domenica va a messa, si mette a disposizione per fare il chierichetto: ha solo 5 anni! (Forse uno dei più giovane chierichetti che la storia della chiesa ricordi, ed è per questo viene ricordato come il loro patrono). Solo due anni dopo riceve il sacramento della prima comunione e fissa i suoi personali propositi: il primo gradino della scala che lo porterà alla santità.

Nel 1853 i Savio si trasferiscono a Mondonio dove Domenico incontrerà Don Cugliero il suo severo insegnante, il quale, colpito dall’intelligenza e dalla condotta morale di Domenico, si rivolge a don Giovanni Bosco perché lo accetti nell’oratorio che ha creato a Torino per i ragazzi poveri. L’incontro con don Bosco è risolutivo per la vita del santo: il grande santo dei giovani chiese al ragazzo che gli viene presentato che cosa vuol fare da grande e lui riferisce di volersi fare sacerdote.

Il desiderio sacerdotale si trasformerà presto in desiderio di santità e perseguirà tale sogno con allegria aiutando gli altri. In questo fu veramente imbattibile, ce la mise tutta. Se c’era un malato da assistere, un compagno in difficoltà, una stanza da mettere in ordine, era sempre pronto. Arrivò a prestare i suoi guanti di lana ad un piccolino che tremava dal freddo.

Questa è solo una parte della vita del Savio, ma si può dire senza ombra di dubbio che il buongiorno si vede dal mattino.

Questo bambino fin da subito ci dimostra che la luce della fede è capace di illuminare non solo tutta l’esistenza dell’uomo ma è in grado di orientarne il cammino. Il nostro piccolo Santo nell’incontro con il Dio vivente, nella sua chiamata, ha poggiato le salde fondamenta per costruire la sua vita.

Infatti «nella fede, Cristo non è soltanto Colui in cui crediamo […], ma anche Colui al quale ci uniamo per poter credere. La fede, non solo guarda a Gesù, ma guarda dal punto di vista di Gesù, con i suoi occhi: è una partecipazione al suo modo di vedere».

In questo Domenico ha creduto, con quella fede cieca di cui si sentiva avvolto e coinvolto. Quella fede, quel sentire che che gli era stato trasmesso dai genitori che volevano crescere un buon cristiano ma non pensavano di arrivare a tanto, che sarebbero riusciti ad ottenere tanto dal loro figlioletto. Ecco quanto è stato valido l’esempio di genitori, che non si sono trincerati dietro alti miti di educazione, ma che hanno semplicemente creduto ed educato con fede. Sentiamoci trascinati e animati da questo principio.

(foto di repertorio: festa di San Domenico Savio – Maggio 2019)

1 commento

rosariapiazzese36@ gmail .it 16 Aprile 2021 - 23:22

Complimenti carissima per questo bellissimo articolo

Rispondi

Lascia un commento

Questo sito web utilizza i cookie per migliorare la tua esperienza. Cliccando su ACCETTO acconsenti al loro utilizzo. ACCETTO Scopri di più