Home Annunziando Credere nei germogli. I giovani, le notti buie, la pandemia

Credere nei germogli. I giovani, le notti buie, la pandemia

da Don Manlio Savarino
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Venerdì sera…

Un venerdì sera come tanti altri eppure sul sagrato della Ss. Annunziata si è consumato un fatto che a prima vista sembra alquanto singolare.  Un giovane ragazzo, in giro in una sera qualunque di settembre è stato barbaricamente picchiato da un gruppo di ragazzi, che gli si sono scagliati contro senza alcun motivo apparente, o per lo meno senza movente che giustificasse l’insano comportamento, consumato con una ferocia “terrificate “a detta di chi ha assistito alla scena, quasi paralizzato dalla velocità e dalla mancanza di senso con cui tutto si è svolto. I ragazzi presenti affermano con angoscia di non riuscire a spiegarsi il perché si sia potuta verificare una situazione del genere.

Eppure questo non è il primo episodio di violenza gratuita che si svolge nel nostro paesino, e ahimè un po’ in tutta la penisola. La cronaca di simili fatti si aggiorna di weekend in weekend, e sembra lasciare attoniti i più sensibili spettatori dei quotidiani e destinatari dei racconti spiacevoli. Ma, cosa ben più grave, ha forse anche assuefatto le nostre coscienze rendendole quasi “abitudinariamente ordinari”.

“Milano minori formano piccole bande, nove minori arrestati”.  “Massa, sedicenne picchiato trovato, in fin di vita in un parco: arrestati tre ragazzi”. “Napoli, banda di ragazzi aggredisce anziano con disturbi psichici e lo butta in un cassonetto”.

Picchiano aggrediscono e feriscono. Senza una ragione. Ma quale sarà la motivazione di una tale ondata di violenza.  Qualcuno dà tutta la colpa alla pandemia in corso, al lockdown, alla solitudine, alla noia. Ma si possono addebitare fatti così gravi solo a situazioni che si sono verificate nella storia recente? Crediamo che ci sia qualcosa di molto più corposo che cova sotto.

Ogni epoca ha il suo capro espiatorio colpevole di incrinare le menti dei giovani: i video giochi, i media, la tecnologia, ora è il turno della pandemia che è sulla cresta dell’onda. Invece di cercare di dare la responsabilità alla crisi di turno dovremmo chiederci cosa manca a questi ragazzi per sfogare così la loro rabbia dimostrando con la violenza un bisogno che noi adulti non riusciamo a colmare.

Forse dovremmo chiederci perché non riusciamo a dargli un identità sana, perché se fosse così, non attecchirebbero scene di questo genere con tanta facilità.

I giovani purtroppo, molto spesso, nella stragrande maggioranza dei casi, trovano la loro identità nel “gruppo”, in un gruppo a cui cercano di omologarsi in tutto e per tutto.  Crescono rinforzandosi gli uni con gli altri, senza nessuno che li riporti indietro quando il “gruppo” non è quello giusto.

C’è da dire che parlare soltanto del problema non aiuta certo a risolverlo. Possiamo attenzionare il fenomeno, osservarlo, ma dobbiamo cercare di risolverlo. E non possono tali accadimenti lasciarci innocui spettatori, destinatari di un destino che sembrerebbe già scritto. Non possiamo lasciare che agli occhi di tutti, i nostri luoghi, ridondanti di bellezza estrema architettonica e artistica, siano deturpati da così simili “brutalità”. Queste debbono coinvolgerci ed avvolgerci, debbono inquietarci perchè, dentro ciò che crea disarmonia alle bellezze di Ispica, c’è il nostro futuro minato alle radici, soffocato nei sogni, deturpato nelle sue più belle creature: i giovani, cittadini del domani.

Il primo passo da fare sembra essere in famiglia, è da qui che parte l’educazione e la formazione delle coscienze, ecco perché si dovrebbe cercare di educare con severità, comprensione e affetto cercando di essere quanto più disponibili possibile. Sembra facile ma non lo è soprattutto in un tempo come il nostro in cui tutti siamo presi dalla frenesia e dalle corse. Proprio per questo le famiglie devono affidarsi sia alla scuola, che oltre a formare le competenze di ognuno deve attenzione i disagi dei giovani, che alle parrocchie, o ad altre agenzie educative presenti nel territorio.  Solo collaborando cercando di fare un lavoro sinergico e di dialogo fra le realtà che ruotano intorno ai nostri ragazzi si può evitare di vedere in futuro scene come quelle che abbiamo menzionato. Abbiamo bisogno di tornare ad abitare i luoghi della nostra Ispica da cittadini responsabili, non solo vantandoci di ciò che abbiamo, lascito dei nostri cari avi, ma tendenti ad un vantaggio di risorsa umana valida e illuminante. Occorre tornare a testimoniare la bellezza della vita ora più che mai, nell’affezione e nella cura di una fraternità sociale che sembra oramai l’ancella di un mondo in progressivo sviluppo.

Dovremmo cercare di mettere in pratica quella “pedagogia della non violenza” di cui il Capostipite è Aldo Capitini il quale evidenzia come sia: “necessario costruire un percorso di liberazione dall’esclusione e dalla marginalità”. Tutto ciò si può creare solo attraverso fondamentali “azioni educative”. Buon lavoro a noi allora, buona cura dei germogli, soprattutto i più fragili. Bisogna credere fermamente in un germoglio per riposare un giorno all’ombra di un albero.

(Foto d’archivio: Scagnozz Cup 2020 – Sagrato della Basilica SS.ma Annunziata)

 

2 commenti

rosariapiazzee36 gmail .it 13 Settembre 2021 - 10:55

Articolo esaustivo,veritiero e toccante.”Bisogna credere fermamente in un germoglio ,per riposare un giorno all’ ombra dibun albero “

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Dora 13 Settembre 2021 - 13:44

Integerrimo ,amorevole e nello stesso tempo autorevole . Buon lavoro nella vigna del Signore carissimo Don Mannlio !❤

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